Johann Wolfgang von Goethe 1749-1832


     Dove la modernità costruisce gerarchie e divisioni, Goethe coglieva organicità, analogie, equivalenze.
     Essere goethiani significa mettersi contro lo sviluppo della cultura del Novecento, rifiutare di collocarsi in quegli estremi che hanno chiuso come in una morsa la filosofia, l'arte e la tecnica dell'Occidente: da un lato l'ideologia scientista dell'emancipazione e del progresso, dall'altro la retorica del negativo, della crisi immane e insormontabile, del nichilismo. Contro la potenza avvolgente di questa immagine del mondo, rimasero isolate le voci che si opposero. Pochissimi sono i goethiani nella nostra cultura: Shelley, Carlyle, Jünger e Spengler. Figure scomode e sospette, grandi avversari di una civiltà erede della democrazia egualitaria giacobina e del suo laicismo che ha irriso il volto divino dell'uomo e ha negato ogni differenza di valore tra cose, sentimenti e azioni. Nell'anima di Faust cercavano ancora la forza per tenere dischiuse le porte del tempio dell'immortalità, dove era venerato il coraggio di chi accetta il senso tragico e divino della vita, e sa riconoscere sempre, anche nell'abisso più profondo, l'immagine dell'amore e della bellezza.
     Noi non abbiamo ancora compreso il significato della filosofia di Goethe e quali orizzonti possa aprire alla nostra cultura, osservava Spengler: al mondo come meccanismo, egli opponeva il mondo come organismo, alla staticità della legge la metamorfosi della forma.

(Stefano Zecchi, introduzione a "Oswald Spengler - Il Tramonto dell'Occidente")

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