l'ipotesi del killer stellare
di Pier Giorgio Lepori
per Edicolaweb
Una sconvolgente rilettura della preistoria umana e terrestre. I frammenti di una supernova alla base della trasformazione radicale della storia.
Mi sono soffermato a riflettere molto sul mistero del Continente perduto e ho letto molti testi in merito per potermi fare un'idea di quel che potrebbe essere accaduto. La conclusione a cui sono giunto non sta tanto nell'affermare una più o meno conclamata esistenza di una terra aldilà delle Colonne d'Ercole divenuta mitica, quanto nel giustificarne la sua scomparsa. E non la scomparsa in quanto tale, bensì la modalità precisa dell'evento, la sua dinamica, la meccanica con cui un continente abbandona la superficie terrestre per inabissarsi nelle profondità della Terra.
Non è un segreto che Atlantide strida con la teoria della deriva continentale, la cosiddetta tettonica a zolle; in effetti non esiste uno spazio fisico nell'Atlantico che permetta di ammettere la presenza di un continente di vaste proporzioni. Il collage delle zolle afro-sud americane e certi incastri euro-nord americani non lasciano lembi continentali tali per poter dire "Sì, è possibile che fosse collocato a certe latitudini"; se poi l'ipotesi di inabissamento si sposasse effettivamente con la cronologia del Timeo e del Crizia platonici, a maggior ragione ci troveremmo di fronte ad un Oceano Atlantico del tutto simile, morfologicamente, a come lo osserviamo oggi. La dorsale atlantica smentisce categoricamente l'esistenza di Atlantide per un fatto molto semplice: i movimenti tellurici subsidenti della dorsale si comportano in maniera del tutto lontana rispetto al fenomeno dello sprofondare atlantideo a mo' di sabbie mobili; al massimo si sarebbe spaccato, nel corso di milioni di anni, in due o più pezzi ancora oggi esistenti.
Però, ripeto, nemmeno la cronologia ci aiuta in questo senso; la data del cataclisma infatti, non risalirebbe a sconvolgimenti avvenuti lungo il corso di ere geologiche ma dovrebbe coincidere con un fenomeno repentino, violentissimo avvenuto in una data altrettanto famosa per gli addetti ai lavori: 11.000 a.C. ca.
La seconda conclusione a cui sono giunto, pertanto, è quella di valutare seriamente una causa distruttiva esogena e non endogena e in questo mi ha illuminato il testo di cui parlerò avanti.
Herbie Brennan lo potremmo definire "il signor Nessuno", un irlandese dal profilo poco conosciuto; la presentazione che la Newton Compton Editori fa sui risvolti di copertina del suo "L'Enigma di Atlantide" è quanto meno controversa: poche righe per dire che conduce trasmissioni televisive e radiofoniche negli Stati Uniti e ha scritto una settantina di opere.
Eppure, il dettaglio di informazione a cui giunge nel testo è sorprendente; si tratta indubbiamente di un uomo informato dei fatti e con una possente capacità analitica. Il presupposto fondamentale da cui parte Brennan è l'assimilazione tra il cataclisma atlantideo e i miti del Diluvio Universale; è convinto che gli agiografi dell'Antico Testamento e gli uomini che raccontarono in termini mistici o poetici il diluvio nelle varie civiltà possano aver attinto linfa da ispirazioni storiche o da testimonianze dirette di un evento formidabile. Non solo: per affermare il paradigma platonico di una super civiltà, bisogna distruggere o confutare completamente il paradigma evolutivo finora descritto dalla scienza ufficiale.
Le prove a carico di questa tesi e l'escursus logico dell'intero testo valgono la pena di essere seguiti passo dopo passo.
PARADIGMA PROCESSO EVOLUTIVO LINEARE:
PREISTORIA COME LA CONOSCIAMO?
Il racconto di Platone descrive uno scontro tra civiltà fortemente evolute avvenuto in un epoca in cui, secondo le nostre conoscenze, l'uomo non era altro che un primo abbozzo di civilizzazione molto improntato sulla sopravvivenza piuttosto che sulle arti o la conoscenza.
L'Homo Erectus fa la sua apparizione intorno ai 2,5 milioni di anni fa, proviene direttamente da trasformazioni morfologiche dell'Australopithecus e fabbrica i primi utensili in pietra e osso; sembra quasi che il processo sia talmente lento che per giungere ad una razza umana più simile ai nostri tratti bisogna attendere l'Era Glaciale in pieno Pleistocene (400.000 - 100.000 anni or sono) e quindi al Sapiens; ramificazioni di quest'ultimo si ritrovano nel Neanderthal, diffuso in quasi tutta la regione mediterranea, nell'Asia centrale, Europa, Nord Africa e Medio Oriente; pratica sicuramente una forma di religione e seppellisce i propri morti.
Poi scompare improvvisamente.
In coincidenza di ciò appare il Cro-Magnon, cosiddetto Sapiens-Sapiens, con caratteristiche fisiche e cerebrali assolutamente diverse ed evolute rispetto ai propri contemporanei (100.000 - 35.000 anni); controversa ed ignorata la scoperta di uomini Sapiens-Sapiens con statura variabile dagli 1,65 ai 2,20 metri, grande capacità cranica, mandibole forti e vita media 50 anni; un'impresa notevole per quel periodo. Sembra, a detta di Brennan, che all'interno della sepoltura rinvenuta, solamente alcuni esemplari sono stati analizzati; altri - volutamente - nascosti.
Dal 13.000 all'8.000 si consuma l'ultima fase dell'Era Glaciale con riscaldamento terrestre, innalzamento dei mari e trasformazione radicale dei profili continentali conosciuti; grandi le trasformazioni nella vegetazione e conseguentemente nel comportamento umano. La caccia e la raccolta di cibo, tipica del Pleistocene glaciale, muta in prima pastorizia ed accenni di agricoltura. Iniziano i primi agglomerati urbani (villaggi) intorno ai fiumi e una sorta di ordinamento politico in abbozzo. Questi alcuni tra i punti fondamentali del processo lineare. Brennan arriverà a distruggerli uno ad uno.
FALLE NEL PROCESSO:
LE SCOPERTE CONTRADDITTORIE
Vi è una carrellata di scoperte antropologiche contraddittorie del processo lineare che la scienza ortodossa o ignora o tralascia volutamente.
Nel 1969, tra Woolongong e Gerringong (Australia) furono scoperte impronte umane fossili di 1.000.000 di anni.
1997, sito archeologico di Jinmium, Territori Settentrionali dell'Australia: manufatti compresi tra il 176.000 e il 116.000 a. P. (avanti Pleistocene, d'ora in avanti a. P. per comodità n.d.a.).
Nel 1928, a Ipswich, in Inghilterra, avviene il ritrovamento di uno scheletro umano intero datato 330.000 anni a.P.; nel 1973, Trimil, nell’Isola di Giava, femori umani risalenti a 830.000 anni a. P.; 1989, Gehe, in Cina, resti umani di 600.000 anni a.P., completamente ignorati dalla scienza ortodossa e liquidati come un falso di cattivo gusto.
Nel IX millennio a.C. fa la sua comparsa improvvisa il famoso "complesso munito di punta" ovvero una nuova modalità di freccia dapprima sconosciuta; grandi quantità vengono ritrovate in tutta l'Europa nord occidentale e nel Vicino Oriente. Le inumazioni rinvenute iniziano a presentare cause di morte legate al "complesso"; circa 90 tombe riportate alla luce mostrano cadaveri con frecce conficcate nel torace e nella schiena; un fenomeno che, precedentemente alla data del 9.000 a.C., si può giudicare inesistente.
L'umanità scopre i piaceri della guerra sistematica in un periodo coincidente con il racconto platonico della guerra tra Atlantide e Atene. Ma la descrizione atlantidea fatta da Platone è ancora lontana dalla realtà umana, storica di quei periodi; il filosofo ateniese racconta di una civiltà estremamente evoluta ed organizzata, troppo stridente con la concezione dell'Era Glaciale e della preistoria greca così come noi le conosciamo. Occorre iniziare a smantellare il paradigma della glaciazione se vogliamo aprire nuovi orizzonti cognitivi.
CONTROVERSIE CRONOLOGICHE:
CIVILTÀ FUORI DAL PROPRIO TEMPO
La civiltà Azteca e la propria capitale, Tenochtitlan, vengono descritte come una gemma nell'antichità; a detta di Brennan, che cita uno scrittore come Tompkins, Tenochtitlan poteva essere paragonata ad "una Venezia esotica, con strade lastricate e oltre 500 palazzi e piramidi orlati con merlature e serpenti". La popolazione contava più di 300.000 abitanti e vi erano numerosi canali navigabili, preposti alla raccolta di acque limpide finalizzate all'irrigazione. La progettazione prevedeva una city e una porzione per la media e bassa borghesia mercantile e commerciale. Il mercato richiamava una fiorente attività testimoniata da un afflusso di 60.000 persone medie giornaliere. Nel 1519, con l'arrivo dei Conquistadores, l'impero azteco arresta per sempre la sua espansione.
Le origini degli aztechi sono oscure. L'ortodossia parla di una migrazione dal Messico settentrionale intorno al XIV secolo, ma gli Aztechi stessi raccontano una storia diversa: essi provenivano da Oriente, da una terra misteriosa chiamata Aztlan. Platone, nel Crizia, descrive l'espansione coloniale di Atlantide su di un "continente aldilà dell'Atlantico"; come Platone conoscesse la presenza di terre oltre l'Oceano è ancora da spiegare. Nel 1920, accompagnato e foraggiato da una spedizione americana, Byron S. Cummins scopre una piramide alle porte di Tenochtitlan antecedente agli stessi Aztechi, la piramide di Cuicuilco; essa era coperta da numerosi strati eruttivi provenienti dal vicino vulcano Xitli. La datazione effettuata sugli strati attornianti la piramide la fecero considerare come un monumento antecedente ad uno degli strati più antichi, ovvero al 8.500 a.C.
Ma non è l'unica in sud America ad avere caratteristiche misteriose.
Tiahuanaco è una città a tutti gli effetti porto, dotata di banchine e moli, bacini di contenimento e quant'altro: solo che è posizionata a 3.900 metri di altezza. Accanto a questa anomalia, la cronologia ancora una volta è contraddittoria.
Kalasasaya è un osservatorio astronomico, recinzione megalitica comprendente una grande piramide a gradini di terra ricoperta di andesite (Akapana) facente parte del complesso achitettonico di Tiahuanaco, unanimemente riconosciuto come tale; datazioni della città spostano indietro nel tempo fino al 150 a.C. le sue origini.
Muller e Posnansky, astronomo l'uno, archeologo l'altro, sono convinti sostenitori di una cronologia fortemente anteriore a quella ipotizzata. Analisi astronomiche del sito di Kalasasaya datano la sua realizzazione tra il 15.000 e il 9.600 a.C. Se il paradigma della fine dell'Era Glaciale è vero, allora Tiahuanaco, al tempo della sua costruzione, era al livello del mare e quindi un perfetto porto funzionante. Una sofisticata città marittima contemporanea alla perduta Atlantide del racconto platonico.
Vi sono esempi di scoperte relative a monumenti preesistenti alle grandi civiltà del passato che oserei definire iconoclaste nei confronti dei dogmi storici convenzionali: Abydo e l'Osireion in Egitto ne sono un esempio. John Antony West ha dimostrato che il basamento su cui fu eretto l'Osireion in realtà è limo del Nilo calcificato e condensato. Simili inondazioni possono essere avvenute, in quella zona, esclusivamente in periodi antecedenti al 9.000 a.C. e più precisamente intorno al 10.000; è presumibile che detto monumento possa avere un'età più antica, 12.000, 11.000 a.C.
Tutta la storia dell'Egitto è peculiare e gli studiosi più ortodossi non potrebbero negare che la civiltà del Nilo è come se fosse nata già estremamente sviluppata. È Platone a riportare una datazione dello Stato sostenuta dai sacerdoti egizi risalente a 1.000 anni prima della fondazione di Atene, ovvero intorno al 9.000 a.C.
Ma alcuni testi scoperti in Egitto riportano un lignaggio ancora più antico.
Il Papiro di Torino (1.400 a.C.) riporta una suddivisione dell'Egitto in 3 periodi di cui uno facente capo ad una stirpe di faraoni predinastici che regnò per 13.420 anni; il secondo fa riferimento ad una stirpe di Re Horus con ben 23.200 anni di governo ed il terzo parla di un regno di semidei a cui non possiamo risalire poiché il papiro, in quel punto, risulta danneggiato. Maneto, sacerdote vissuto intorno al 300 a.C., combina le date del regno dei semidei con le date dei regnanti Re Horus; la fondazione risulta quindi posta tra il 9.000 ed il 37.000 a.C.
Non si spiega la contraddizione con l'Era Glaciale; a meno di non considerare il periodo come un falso.
SMANTELLARE IL PARADIGMA DELL'ERA GLACIALE
Il quadro offerto dalla scienza ufficiale sull'Era Glaciale è chiaro; iniziata circa 2,5 milioni di anni or sono, terminò intorno all'8.000 a.C.
Caratterizzata da climi rigidissimi, gran parte della superficie terrestre, nell'emisfero settentrionale e in quello meridionale, era ricoperta da uno spesso strato di permafrost che manteneva temperature medie intorno ai -6°C; la temperatura atmosferica era al di sotto delle medie odierne di 20°C ca.; gli oceani abbassarono i loro livelli di almeno 90 metri.
La popolazione allora esistente non conosceva il fuoco, l'intera esistenza era basata su una continua ricerca della sopravvivenza. L'uomo moriva di fame se non trovava cibo, peraltro scarseggiante date le condizioni climatiche. Gli esseri umani vivevano nelle caverne poiché era impensabile costruire abitazioni in legno. La caratteristica dei ghiacci avanzanti è quella di distruggere le foreste durante la loro marcia irresistibile.
Brennan sottolinea il fatto che evidentemente non fu così.
Indagini archeologiche dimostrano che i nostri antenati vivevano sotto tettoie di roccia o capanne o tende; dimoravano all'ingresso delle grotte ma non si sono mai addentrati in profondità. Due i motivi: o per paura di animali feroci, ma erano abbastanza abituati a combattere da preda o da predatori e del resto la caccia sembrava essere la loro attività primaria e quindi erano pronti a fronteggiare un animale; o per superstizione.
È vero che non abitavano le caverne ma sappiamo che furono visitate addentrandosi di molto all'interno. Quale il motivo? Semplice: per decorarle.
Esistono decorazioni rupestri in tutto il mondo. Non solo: tali decorazioni sono testimoni di una notevole grazia artistica troppo lontana dall'immagine troglodita tracciata dall'ortodossia; vi sono prove dell'uso di pigmenti addirittura risalenti al 125.000.
Come è possibile che popolazioni votate alla sopravvivenza in un clima rigido, governate dalla necessità di nutrizione continua in un ambiente ostile avessero il tempo per l'arte e qualsiasi altra attività di svago?
Anche qui esiste un problema di fondo: scheletri ritrovati dimostrano l'assenza di denutrizione, lesioni e malattie; i popoli erano forti, facevano uso di vestiario e di un vestiario molto minimalista; raffigurazioni rupestri rappresentano uomini e donne nudi, intenti in attività di caccia, guerra, danza e sesso; l'arte figurativa, rappresentativa del Pleistocene non lascia spazio a interpretazioni late: gli uomini raffiguravano ciò che vedevano e ciò che vedevano erano altri esseri umani vestiti con gonnellini, perizomi e quant'altro o semplicemente nudi.
In una grotta a Fontanet in Francia sono state ritrovate impronte fossili di un fanciullo e di altri adulti; tutte avevano una caratteristica, testimoniavano l'essere scalzi.
Come si può in piena Era Glaciale andare in giro nudi, scalzi, ben nutriti e con uno spiccato senso artistico o in attività belliche e ludiche... Ma non è l'unico problema a farsi strada nel consenso e a provocare fratture; quando agli inizi del XIX secolo la geologia assurse a scienza ufficiale, si trovò subito a dover risolvere un'annosa questione: la terra aveva subito delle modifiche anche violente e profonde in passato e molte rocce osservate presentavano striature direzionate nord-ovest/sud-est, si trattava di ferite comuni sia nell'emisfero settentrionale che in quello meridionale; cosa le provocò?
E che cosa depositò nei posti più impensati massi dalla composizione geochimica del tutto diversa rispetto al contesto in cui furono portati? A milioni, peraltro...
Per non parlare dei depositi di ghiaia trovati in tutto il mondo e stratificati nelle grotte più profonde.
Dopo una prima tornata di pensiero caratterizzata dal catastrofismo del Diluvio Universale, John Playfair (1802) concluse che solamente i ghiacci avrebbero avuto ragione dei massi erratici dei sedimenti ghiaiosi e delle striature orientate sulle rocce di tutto il globo.
In un primo momento fu accantonata come idea, ma di fatto era appena nata la teoria dell'Era Glaciale. Le successive trasformazioni della teoria videro vette notevoli grazie all'apporto di scienziati umanisti come Agassiz; giungiamo fino ai nostri giorni con la formulazione delle otto ipotesi di conformazione di un'era glaciale ad opera di D.S. Allan e J.B. Delair:
* influenza astronomica
* cambiamenti atmosferici
* cambiamenti assiali/orbitali
* cambiamenti geofisici
* cambiamenti glaciologici
* cambiamenti acquatico/terrestri
* cambiamenti meteorologici
* cambiamenti nei comportamenti solari
Secondo Brennan, le teorie fin qui esposte partono da un presupposto errato fondamentale: perché si verifichi un'era glaciale vi è bisogno di freddo ma in realtà non è così; al paradosso le battute iniziali di una glaciazione sono causate da un repentino innalzamento della temperatura e non da un abbassamento.
Perché vi sia ghiaccio ed in quantità abbondante, è necessario che vi sia acqua; e l'acqua è data da pioggia e vapore, entrambi prodotti in quantità industriale dall'evaporazione di laghi, mari ed oceani. Se nel Pleistocene si fosse verificato davvero un incremento notevole di ghiaccio, allora gli oceani in alcuni punti si sarebbero abbassati anche di 3 metri; vi è il fatto che questo fenomeno sia antecedente alla formazione del ghiaccio e non posteriore.
Quindi sarebbe un repentino e violento innalzamento della temperatura ed un abbassamento della stessa intensità che avrebbe prodotto le lastre di ghiaccio. Ma c'è di più.
Non vi sarebbero infatti, secondo Brennan, tracce di glaciazione in alcune zone della Terra in cui, al contrario, esistono quantità considerevoli di massi erratici: deserto del Sahara, pianure della Mongolia, Uruguay, Labrador.
Inoltre esiste un problema fisico che va ben oltre le speculazioni o le illazioni che si possono fare pour parler: la fisica del ghiaccio sottende ad un comportamento fisico dell'elemento in pieno rispetto delle leggi di gravità e della caduta dei gravi; in questo senso ipotizzare il flusso di ghiaccio su una montagna o su di una collina sarebbe come affermare che l'acqua possa risalire la propria fonte. In pratica, secondo i glaciazionisti, il movimento del ghiaccio, nell'Era in discussione, contraddirebbe le leggi della fisica.
IPOTESI DIVERSE: IL CATACLISMA GLOBALE
A questo punto inizia un'analisi degli eventi completamente diversa e particolarmente terribile. Partendo dal presupposto che una delle manifestazioni più chiare del passaggio di un ghiacciaio, i massi erratici, non trova fondamento in questa ipotesi, bisogna allora presupporre una causa scatenante repentina e violenta.
Molti massi erratici, oltretutto, pur essendo stati trascinati presumibilmente per parecchie migliaia di km nei millenni, presentano ancora cuspidi appuntite e non levigate nella loro morfologia. Un presupposto fondamentale per chiarire la dinamica di un trascinamento continuo è il suo tasso di levigatura, praticamente inesistente nei massi erratici osservati.
In contemporanea, mentre una forza spostava i massi sulla superficie terrestre, qualcos'altro ergeva montagne!
Brennan si dilunga in una descrizione minuziosa delle più importanti catene montuose al mondo e nella dinamica della tettonica a zolla, unita a concetti base della geologia e dell'orografìa di queste catene. Il focus viene posto sulla catena dell'Himalaya, gruppo montuoso relativamente giovane e datato con "un'insolita accuratezza" poiché i processi geologici della sua elevazione hanno scatenato una crescita simultanea media di 1.500-1.800 metri nella valle del Kashmir. Il Kashmir presenta fossili peistocenici e l'antica roccia himalayana si è piegata su un letto ghiaioso pleistocenico. Così come il Pir Panjal, blocco occidentale aderente al Punjab o come il Kailas, blocco sud-occidentale della catena himalayana; così come le nostrane Alpi: tutti elevatisi contemporaneamente come in una convulsione planetaria nel Pleistocene.
In Cina la grande convulsione fece sparire il Grande Han Hai, mare interno occupante l'odierno bacino del Gobi, avente un'estensione pari a 1.100 km. In contemporanea al sorgere del Thian Shai, catena montuosa lunga ca. 2.500 km, il fondo del Han Hai si sollevò di 600 metri almeno facendo defluire una quantità di acqua fuori dal normale. Anche l'Altopiano del Tibet si sollevò di almeno 3.000 metri, raggiungendo la quota odierna di 4.500. Sulla costa orientale della Cina il fondale marino sprofondò fino al Giappone; a Malaya il livello del mare raggiunse depressioni di 90 metri, in Africa la crosta terrestre si ruppe dando inizio alla gran Rift Valley, in Nuova Zelanda vi fu una sollevazione di almeno 17.000 metri circa nell'Isola del Sud, oltre a vaste attività vulcaniche nelle Canarie e nelle Azzorre.
Pleistocene, presenza umana forte sulla Terra; dice Brennan: "l'umanità ha visto l'elevazione convulsa dei monti himalayani. L'umanità ha osservato il fluire cataclismatico di un antico mare!" L'umanità porta dentro la propria essenza, nel proprio cuore, un trauma inimmaginabile.
Eppure, terrificanti eventi in dettaglio devono ancora essere descritti; Brennan rivela il malizioso e voluto silenzio della scienza ufficiale portandoci all'interno di scoperte mai smentite ma raccontate in maniera diversa, molto più accomodante; in realtà le cose sembrerebbero stare in maniera del tutto diversa.
SULLE TRACCE DEL KILLER
Vi sono forti prove a testimonianza di un evento catastrofico di livello planetario quasi inconfutabili; riguardano l'estinzione di specie che popolavano la Terra in era pleistocenica e che scomparvero repentinamente. Gli esperti arrivano a sostenere che nei 2,5 milioni di anni del Pleistocene ben il 75% delle specie si sarebbe estinto in 800 anni circa, intorno al 9.000 a.C.; queste specie non si sono addormentate nel tempo, ma hanno subito una morte veloce e violentissima.
Di seguito riportiamo la casistica elencata da Brennan poiché di interesse elevatissimo:
* Monte Kinley, Alaska: centinaia di resti di mammuth, mastodonti, bisonti insieme ad alberi sradicati; ossa rotte e smembrate.
* Fiume Koyukuk, Fiume Kuskokwim, Yukon, Costa Artica, Mare di Bering: stessi sedimenti e stessi resti; cataclisma non locale, ma di portata planetaria.
* Ritrovamenti di punte da freccia di tipo Yuma; ossa umane miste a quelle animali. Cacciatori e prede, stesso destino.
* New Siberian Islands, 1805: il terreno letteralmente ricoperto di resti di elefanti e rinoceronti.
* Isola di Liakhove, Siberia settentrionale: lo scopritore da cui l'isola prende il nome si chiede se non sia costituita da ossa di mammuth cementate a causa della quantità enorme ivi scoperta.
* Grotta di San Ciro, a Palermo: 20 tonnellate di ossa di ippopotamo stipate a migliaia in spaccature e spelonche della roccia. Oltre al mistero delle ossa occorre riflettere sulle tipologie di animali ritrovati. Gli ippopotami, ad esempio, non fanno parte dell'habitat sud-mediterraneo. Solitamente le ossa appartengono a specie di animali tra le più disparate, a conferma del fatto che l'evento scatenante questa catastrofe ha coinvolto larghissime porzioni di terraferma anche molto distanti tra loro.
* Malta, XIX secolo: lucertole, elefanti, tartarughe, uccelli giganti addirittura squali. Scheletri fusi con la roccia circostante; ossa frantumate e sparse.
* Creta, Grotte di Limestone: cervi, elefanti, ippopotami, roditori.
* Corsica, Sardegna, Baleari: scenari simili ai precedenti.
* Gibilterra: iene, linci, rinoceronti, lupi, specie varie di uccelli, lepri, tigri, corvi, piccioni, cervi stambecchi, buoi, cinghiali.
* Inghilterra, Grotte nello Yorkshire: stesso panorama di Gibilterra.
* Grotta di Kent, Torquay: prove di un'enorme energia che scagliò e stipò gli animali all'interno della spelonca.
* Cina, pressi di Pechino, villaggio di Choukoutien: insieme agli animali vennero ritrovati i resti di sette uomini appartenenti a tre razze distinte: europea, melanesiana, eschimese.
* Monaco, Grotta di Vallonet: assieme a scimmie, elefanti, rinoceronti, leoni e iene furono ritrovati resti di balene.
Il fenomeno lo ritroviamo persino in Australia, negli Stati Uniti e in Brasile. Si è trattato di un evento parossistico, violentissimo; avrebbe potuto causare anche l'affondamento di un continente?
La descrizione di Platone, abbiamo già detto, stride con la teoria pleistocenica tradizionale; eppure si parla del continente atlantideo poggiatosi sul fondo del mare.
Per quanto assurda ed inconcepibile, Brennan supporta la visione di un'ipotesi rivoluzionaria: nel 1949 il National Geographic descrisse una spedizione sottomarina che compì ecoscandagli nella zona della dorsale medio-atlantica. Furono mostrati i sedimenti profondi centinaia di metri. Al contrario quando gli ecoscandagli furono portati sui bacini oceanici ai lati della dorsale, ne venne fuori una scoperta sconcertante; sicuri dello spessore ancora più profondo di questi sedimenti, causa l'ultra millenaria situazione indisturbata del fondo atlantico, gli scienziati si trovarono di fronte a profondità non più superiori di 30 metri; in alcune zone non vi erano addirittura sedimenti. L'unica spiegazione plausibile sta nel fatto che, in epoche molto recenti, il fondale dell'Oceano Atlantico era in superficie!
Non vi sono possibilità che fossero le eruzioni vulcaniche o i terremoti succedutisi nei millenni a provocare un fenomeno simile: troppo blandi a questo fine anche se potenti e abbastanza distruttivi. La causa dovrebbe risiedere in un evento più violento del previsto.
L'ASSE TERRESTRE E LO SLITTAMENTO DEL POLO CELESTE
Cambiamenti climatici nella storia del pianeta ne sono avvenuti e non pochi; non solo, collegato a questo fatto vi è sicuramente l'orientamento dell'asse terrestre alla base dei cambi stagionali.
Se la Terra avesse avuto un asse assolutamente perpendicolare a se stessa e non inclinato di 23,5°, il clima sarebbe stato mite e costante su tutto il globo persino alle latitudini polari. Se leghiamo una palla ad un cavo, assicurando quest'ultimo ad un punto fisso, osserviamo che imprimendo forza alla palla questa inizia a girare intorno al punto fisso, descrivendo un'orbita circolare e non ellittica. Nel caso del nostro sistema solare, al contrario, le orbite sono tutte ellittiche quindi irregolari, ma in un universo meccanico le forze di gravitazione tenderebbero alla circolarità. Allora l'idea di una Terra "dritta" non è così irragionevole.
Brennan inizia a descrivere un ipotetico pianeta perpendicolare al proprio asse.
L'idea è quella di una terra edenica, dove la temperatura è costante a tutte le latitudini, i mari sono più alti e il tasso d'umidità diffuso: la conseguenza prima è la presenza di una lussureggiante vegetazione e grandi quantità, nonché varietà, di animali selvaggi. Anche le civiltà preistoriche, con un clima simile, avrebbero avuto enormi possibilità di maggior sopravvivenza e soprattutto sviluppo date le condizioni atmosferiche miti. Aree desertiche pressoché inesistenti e serbatoi di ghiaccio limitati alle due calotte, alle estremità artica ed antartica, potevano permettere l'abitabilità di terre estreme artiche e, specialmente, di terre libere dal permafrost antartico; alcune isole come la Groenlandia sarebbero risultate completamente abitabili.
I miti della Genesi rispecchiano una condizione idilliaca simile alla pagana Età dell'Oro; anche in Occidente i miti di Esiodo narrano di una Età dove tutti i popoli erano in pace grazie alla presenza di cibo e acqua in abbondanza; e poi Dilmun per i Sumeri o Aalu per gli Egizi; in Oriente regna l'indiano Krita Yuga; in Platone, l'Atlantide...
E se questi miti, come ipotizza Brennan, fossero stati caratterizzati da ricordi distorti di una ancestrale condizione climatica estremamente diversa dall'attuale? O addirittura ricordi della perduta Atlantide?
E qui le immancabili prove:
* Arcipelago di Spitsbergen, Oceano Artico, 78°56' di latitudine nord: barriere coralline sommerse, enormi giacimenti di carbone (testimonianza di foreste lussureggianti). Heer, botanico olandese, ha scoperto 136 varietà di piante fossili in Spitsbergen tra cui olmi, pioppi, piante tropicali e palme.
* Alaska, Stati Uniti, circolo polare Artico: barriere coralline, carbone e legno fossile.
* Isola di Disko, Groenlandia: fossili di ghiande, pigne, noci, faggi, magnolie, querce, felci tropicali.
* Islanda: resti di abete rosso, sequoie, aceri e querce, normalmente associate con la California e i paesi mediterranei.
* Coste artiche della Siberia, Stretto di Bering: sequoie, pioppi, ontani, sicomori.
Qui vi è solo una spiegazione: un tempo le terre circostanti il circolo polare artico e quello antartico erano più calde; quando e perché?
La prima risposta è quella del Miocene, epoca geologica compresa tra 25 milioni e 5 milioni di anni fa; il problema però sussiste nei processi evolutivi: specie vegetali, o animali, adattatesi nel tempo alle trasformazioni climatiche presentano forti cambiamenti morfologici; eppure le specie fossili attribuite al Miocene nei circoli polari non presentano alcun cambiamento rispetto alle odierne. Milioni di anni evolutivi non avrebbero apportato trasformazione alcuna tra le specie.
Diverse piante fossili del circolo polare Artico sono state ritrovate con i frutti attaccati; ci vuole molta luce nel processo di fruttificazione nonché molto calore. Gli inverni polari durano più di sei mesi e per la metà dell'anno le temperature arrivano anche a -40°; per non contare la notte polare di 180 giorni. Solo uno slittamento dell'asse terrestre potrebbe giustificare una simile condizione. Infatti, in presenza di un asse "dritto", non vi sarebbero gli inverni anomali subiti dai poli.
ANATOMIA DEL KILLER SPAZIALE
Per spostare l'asse terrestre, dunque, non bastano situazioni che, per quanto drammatiche e fortemente energetiche, si sviluppino endogeneamente: è necessario che una enorme forza scateni un'energia tale da "prendere" letteralmente un pianeta e rovesciarlo su un'inclinazione diversa; cosa potrebbe aver scatenato una cosa simile?
Se un corpo estraneo fosse penetrato nel nostro sistema solare, con una capacità devastante di questa portata, dovrebbe aver lasciato delle prove circostanziali al di là delle osservazioni sui comportamenti anomali del nostro pianeta: Brennan cerca le tracce del passaggio di un proiettile nella nostra casa cosmica; e lo trova.
I Caldei, i Sumeri e i Babilonesi erano popoli dalle straordinarie conoscenze astronomiche: dall'osservazione relativa alla variabilità dello zodiaco nei radianti cosmici che apparentemente ruotano intorno alla Terra, erano risaliti alla precessione degli equinozi, conoscevano la centralità del sole, le eclissi lunari dovute alla proiezione dell'ombra terrestre e la riflessione luminosa della Luna.
In una tavola sumerica conservata al museo paleontologico di Berlino, è contenuto uno zodiaco con un punto equinoziale nella costellazione del Leone (oggi in Ariete); se ne desume che detto zodiaco doveva essere stato osservato in un periodo vicino all'11.000 a.C., periodo di massima espansione e fioritura dell'Atlantide di Platone. I Babilonesi erano a conoscenza dei molteplici corpi ruotanti intorno al sole: nove per l'esattezza; senza telescopio ne possono essere osservati solamente 4 fino a Giove (Mercurio, Venere, Marte e Giove stesso). All'ex museo di Stato nella Berlino Est un cilindro accadico mostra la presenza di tutti e nove i pianeti.
Più un decimo pianeta nella porzione interna del Sistema Solare...
La Legge di Bode, contrastata e poi affermata perentoriamente e successivamente arricchita da Ovenden nel 1972, portò alla scoperta della fascia asteroidale. Tale legge recita pressappoco così: ogni pianeta orbita intorno al sole al doppio della distanza del precedente; l'osservazione degli asteroidi dava sì ragione alla legge ma solamente affermando che quei pianetini altro non erano se non la risultante di un'esplosione planetaria. Brennan sottolinea come l'ortodossia giustifichi la presenza degli asteroidi a partire dalla formazione stessa del sistema solare avvenuta 4,7 miliardi di anni or sono circa. Studi più recenti hanno confermato il fatto che le forze gravitazionali in campo non permetterebbero una vita superiore ai 30 milioni di anni circa agli asteroidi senza "cadere" su altri corpi. La conclusione è che gli asteroidi non si sono formati nell'economia del Sistema, bensì sono il frutto di un qualcosa di più allucinante.
Brennan porta "in tribunale" quelle che chiama "prove circostanziate" di un'ancestrale devastazione del Sistema Solare; devastazione che avrebbe comportato tutta una serie di anomalie e disfunzioni tra cui quelle drammatiche osservate sul nostro pianeta grazie all'apporto dell'archeologia e alla scoperta di efferate stragi portate in tempi remoti tra gli esseri viventi. Una di queste prove è la presenza di anelli di roccia ruotanti intorno ai grandi pianeti. Scientificamente è un processo noto con il nome di "cattura dello schermo gravitazionale": un'esplosione planetaria lancerebbe detriti in tutto il sistema con conseguente cattura da parte dei campi gravitazionali più forti o più vicini al pianeta esploso. Questo indubbiamente esiste: Urano, Giove e Saturno; oppure i due misteriosi satelliti marziani Deimos e Phobos. Osservazioni di orbite parossistiche asteroidali all'interno della stessa Fascia sono la testimonianza di una grandiosa forza centrifuga, dirompente impressa ad ognuno di questi corpi.
L'ESPLOSIONE DI UNA SUPERNOVA CHIAMATA "VELA F"
Vi sono tre cause che potrebbero determinare un'esplosione planetaria: fusione nucleare, bombardamento meteorico e collisione con altri corpi celesti. Le prime due non riescono a sviluppare un'energia tale da innescare un processo di disintegrazione del pianeta; la prima, addirittura, rientra in una casistica rarissima e ancora tutta da dimostrare, mentre la seconda non riuscirebbe nel proprio intento persino tramite un impatto con un corpo simile alla Luna, dove le conseguenze sarebbero apocalittiche ma non cancellerebbero la Terra dalla faccia del Sistema.
La terza ipotesi, al contrario, presuppone una collisione con un oggetto estremamente più grande del pianeta bersaglio e dotato di un'enorme energia: ad esempio un frammento di stella.
Brennan passa in rivista la possibilità di uno scontro materia-antimateria (una delle possibili spiegazioni, ad es., del caso Tunguska); ma anche su questo fronte le possibilità di esplosione planetaria sono ridotte allo zero assoluto.
Vi sono due segmenti di stelle esplosive che potrebbero aver interessato il nostro sistema: le novae e le supernovae: le prime sono esplosioni, potremmo definirle, "locali", ovvero a basso raggio di coinvolgimento; le seconde, molto più spettacolari sotto il profilo pirotecnico, sono anche estremamente più pericolose poiché il potenziale distruttivo è enorme, dovuto anche al grande raggio di coinvolgimento della deflagrazione.
Nella costellazione di Vela, tra il 14.000 e l'11.000 a.C., una supernova denominata "Vela F" pose fine alla sua esistenza scagliando nel cosmo milioni di frammenti enormi e sufficientemente dotati di potenziale ad alta energia ed esplosivo; uno di questi, particolarmente esteso, puntò dritto verso le regioni esterne della Via Lattea mirando il sistema Solare. Brennan sottolinea il carattere ipotetico e speculativo della sua tesi ma confrontando tutti i passaggi precedenti del testo e una serie di osservazioni oggettive nei comportamenti del nostro sistema planetario.
Una di queste riguarda la cosiddetta fascia di Kuiper, scoperta dall'omonimo astronomo americano nel 1951. Si tratta di una fascia asteroidale posta ai confini del Sistema Solare molto simile alla fascia asteroidale intermedia generata forse da un'esplosione planetaria; per analogia è ipotizzabile una stessa origine.
Probabilmente l'intruso di Vela, viaggiando a velocità frazionate rispetto a quella fotonica, ha incontrato un corpo celeste in quelle regioni frantumandolo sul colpo; la sua corsa, per nulla rallentata, puntava dritta verso Nettuno. A quelle latitudini è stata osservata una forte presenza di alluminio 26, di fatto una nube, simile a quelle generate da esplosioni di supernovae. La distanza di Vela dal sistema è di 45 anni luce, pertanto i frammenti avrebbero raggiunto le nostre porte dopo pochi secoli, una nullità cronologica rispetto ai tempi astrali.
Il frammento di stella, dall'impressionante forza gravitazionale, avrebbe inclinato Nettuno di 29° sul proprio asse. Voyager 2 rivelò che anche Nettuno è circondato da minuscoli anelli di materiale cosmico: è ipotizzabile che alcuni satelliti orbitanti intorno al pianeta siano stati disintegrati da ulteriori impatti oltre a quello generante la fascia di Kuiper. Il campo gravitazionale del pianeta, comunque un gigante gassoso, avrebbe provocato un effetto fionda sull'intruso scagliandolo verso Urano e le latitudini interne della nostra casa cosmica. Anche Urano è circondato da anelli; si tratta forse dei frammenti dell'intruso che, venendo in rotta di collisione con un pianeta notevolmente inferiore a Nettuno, lo inclinò di 58,6° rispetto al proprio asse, di fatto imprimendogli una rotazione quasi sul fianco: i frammenti sono composti probabilmente da roccia, ghiaccio e un particolare polimero pigmentato di nero. L'intruso intanto puntava Saturno. A questo proposito si cita il "Limite di Roche, dal nome del francese che lo studiò per primo. In pratica, è la misura, distanza di sicurezza in cui un corpo celeste può avvicinarsi ad un altro senza che il più piccolo venga rigettato dalle forze di marea. Se i due corpi sono molto massicci, allora il limite diviene 2,5 volte il raggio del più grande. Gli anelli di Saturno sono al Limite di Roche; è ipotizzabile che l'intruso abbia frantumato una o più lune rientrate nel Limite, creando i bellissimi anelli di questo pianeta. L'intruso avrebbe provocato anche un aumento della sua velocità di rotazione.
Ora, superando Giove senza problemi a causa dell'enorme massa e forza gravitazionale del gigante gassoso, oppure di una sua posizione orbitale distante, il frammento stellare entrò in rotta di collisione con il "pianeta X" tra Giove e Marte, frantumandolo nella famosa fascia di asteroidi; molti frammenti furono catturati dall'intruso e trascinati verso Marte stesso; le conseguenze furono il rallentamento della rotazione del pianeta sull'asse con pressioni tali da provocare fratture nella crosta e la scomparsa dell'acqua.
Qui Brennan entra nelle ipotesi di possibili forme di esistenza intelligente sul pianeta rosso irrimediabilmente estintensi a causa del bombardamento meteorico generato dall'intruso e dall'esplosione del pianeta confinante; ma si tratta di un brevissimo accenno quasi poetico.
L'ipotesi più affascinante è quella che prevede Phobos e Deimos quali lune catturate da Marte e quindi frammenti del pianeta X.
Il proiettile stellare, quindi, si diresse verso le regioni centrali, verso il Pianeta Terra.
Un grande corpo celeste che entra in rotta di collisione o di sfioramento con un altro genera una serie di forze allucinanti che entrano in gioco:
* forze gravitazionali.
* forze elettomagnetiche.
* forze energetiche di scambio calore.
Probabilmente, all'arrivo di Vela F, tutte e tre le forze scatenarono la loro potenza generando:
* disturbi dell'orbita terrestre.
* slittamento dell'asse planetario.
* diminuzione della velocità di rotazione.
* variazioni della precessione degli equinozi.
La forza gravitazionale dell'intruso, a guisa di quella mareale generata dalla Luna, interagì con mantello e litosfera, mandando in panne i flussi di convezione del calore nucleare terrestre verso la superficie, scatenando centinaia di migliaia di eruzioni vulcaniche. La crosta terrestre iniziò a spaccarsi e mutazioni morfologiche repentine generarono immense catene di montagne in zone prima inesistenti. Enormi masse d'acqua, impennate in un'unica ondata apocalittica, defluirono dai mari per salire verso l'intruso che illuminava a giorno i cieli terrestri. Il calore del pianeta cominciò ad alzarsi, per effetto delle eruzioni e della forza elettromagnetica generata dal passaggio di Vela F, piogge di fulmini si scagliarono verso il suolo. Frastuono e fragore ovunque, venti e tornado di inimmaginabile violenza frustarono la superficie del pianeta sradicando milioni di ettari di foreste; vaste distese di litosfera collassarono e deformarono in brevissimi istanti l'intera faccia del pianeta. Fiumi, laghi e mari, oltre all'ondata, fluirono in valli appena create defluendo dagli antichi letti, riempiendo bassopiani e depressioni. Un mare di distruzione e di morte fu seminato sulla Terra e tra gli uomini, terrorizzati dall'ira del nuovo dio apparso d'improvviso nei cieli.
Quando Vela F arrivò al Limite di Roche, non entrò in collisione col pianeta, altrimenti non saremmo qui, oggi, a parlarne. Fu il culmine dell'apocalisse pleistocenica: i frammenti di pianeta che Vela F trascinava con sé esplosero.
Iniziò il più grande e violento bombardamento meteoritico che la Storia mai conobbe; ed enormi frammenti asteroidali caddero su vaste zone della Terra distruggendole totalmente. Tra queste, Atlantide.
Non sapremo mai che cosa realmente accadde, ma le circostanze archeologiche e scientifiche raccontano una storia molto vicina a quest'ipotesi agghiacciante. Vale la pena approfondire e tentare di capire se si trattò di un caso o di una situazione ripetibile ad intervalli cronologici determinati.
Un grande libro, una grande analisi alternativa ai soliti sospetti.
di Pier Giorgio Lepori
per Edicolaweb
Una sconvolgente rilettura della preistoria umana e terrestre. I frammenti di una supernova alla base della trasformazione radicale della storia.
Mi sono soffermato a riflettere molto sul mistero del Continente perduto e ho letto molti testi in merito per potermi fare un'idea di quel che potrebbe essere accaduto. La conclusione a cui sono giunto non sta tanto nell'affermare una più o meno conclamata esistenza di una terra aldilà delle Colonne d'Ercole divenuta mitica, quanto nel giustificarne la sua scomparsa. E non la scomparsa in quanto tale, bensì la modalità precisa dell'evento, la sua dinamica, la meccanica con cui un continente abbandona la superficie terrestre per inabissarsi nelle profondità della Terra.
Non è un segreto che Atlantide strida con la teoria della deriva continentale, la cosiddetta tettonica a zolle; in effetti non esiste uno spazio fisico nell'Atlantico che permetta di ammettere la presenza di un continente di vaste proporzioni. Il collage delle zolle afro-sud americane e certi incastri euro-nord americani non lasciano lembi continentali tali per poter dire "Sì, è possibile che fosse collocato a certe latitudini"; se poi l'ipotesi di inabissamento si sposasse effettivamente con la cronologia del Timeo e del Crizia platonici, a maggior ragione ci troveremmo di fronte ad un Oceano Atlantico del tutto simile, morfologicamente, a come lo osserviamo oggi. La dorsale atlantica smentisce categoricamente l'esistenza di Atlantide per un fatto molto semplice: i movimenti tellurici subsidenti della dorsale si comportano in maniera del tutto lontana rispetto al fenomeno dello sprofondare atlantideo a mo' di sabbie mobili; al massimo si sarebbe spaccato, nel corso di milioni di anni, in due o più pezzi ancora oggi esistenti.
Però, ripeto, nemmeno la cronologia ci aiuta in questo senso; la data del cataclisma infatti, non risalirebbe a sconvolgimenti avvenuti lungo il corso di ere geologiche ma dovrebbe coincidere con un fenomeno repentino, violentissimo avvenuto in una data altrettanto famosa per gli addetti ai lavori: 11.000 a.C. ca.
La seconda conclusione a cui sono giunto, pertanto, è quella di valutare seriamente una causa distruttiva esogena e non endogena e in questo mi ha illuminato il testo di cui parlerò avanti.
Herbie Brennan lo potremmo definire "il signor Nessuno", un irlandese dal profilo poco conosciuto; la presentazione che la Newton Compton Editori fa sui risvolti di copertina del suo "L'Enigma di Atlantide" è quanto meno controversa: poche righe per dire che conduce trasmissioni televisive e radiofoniche negli Stati Uniti e ha scritto una settantina di opere.
Eppure, il dettaglio di informazione a cui giunge nel testo è sorprendente; si tratta indubbiamente di un uomo informato dei fatti e con una possente capacità analitica. Il presupposto fondamentale da cui parte Brennan è l'assimilazione tra il cataclisma atlantideo e i miti del Diluvio Universale; è convinto che gli agiografi dell'Antico Testamento e gli uomini che raccontarono in termini mistici o poetici il diluvio nelle varie civiltà possano aver attinto linfa da ispirazioni storiche o da testimonianze dirette di un evento formidabile. Non solo: per affermare il paradigma platonico di una super civiltà, bisogna distruggere o confutare completamente il paradigma evolutivo finora descritto dalla scienza ufficiale.
Le prove a carico di questa tesi e l'escursus logico dell'intero testo valgono la pena di essere seguiti passo dopo passo.
PARADIGMA PROCESSO EVOLUTIVO LINEARE:
PREISTORIA COME LA CONOSCIAMO?
Il racconto di Platone descrive uno scontro tra civiltà fortemente evolute avvenuto in un epoca in cui, secondo le nostre conoscenze, l'uomo non era altro che un primo abbozzo di civilizzazione molto improntato sulla sopravvivenza piuttosto che sulle arti o la conoscenza.
L'Homo Erectus fa la sua apparizione intorno ai 2,5 milioni di anni fa, proviene direttamente da trasformazioni morfologiche dell'Australopithecus e fabbrica i primi utensili in pietra e osso; sembra quasi che il processo sia talmente lento che per giungere ad una razza umana più simile ai nostri tratti bisogna attendere l'Era Glaciale in pieno Pleistocene (400.000 - 100.000 anni or sono) e quindi al Sapiens; ramificazioni di quest'ultimo si ritrovano nel Neanderthal, diffuso in quasi tutta la regione mediterranea, nell'Asia centrale, Europa, Nord Africa e Medio Oriente; pratica sicuramente una forma di religione e seppellisce i propri morti.
Poi scompare improvvisamente.
In coincidenza di ciò appare il Cro-Magnon, cosiddetto Sapiens-Sapiens, con caratteristiche fisiche e cerebrali assolutamente diverse ed evolute rispetto ai propri contemporanei (100.000 - 35.000 anni); controversa ed ignorata la scoperta di uomini Sapiens-Sapiens con statura variabile dagli 1,65 ai 2,20 metri, grande capacità cranica, mandibole forti e vita media 50 anni; un'impresa notevole per quel periodo. Sembra, a detta di Brennan, che all'interno della sepoltura rinvenuta, solamente alcuni esemplari sono stati analizzati; altri - volutamente - nascosti.
Dal 13.000 all'8.000 si consuma l'ultima fase dell'Era Glaciale con riscaldamento terrestre, innalzamento dei mari e trasformazione radicale dei profili continentali conosciuti; grandi le trasformazioni nella vegetazione e conseguentemente nel comportamento umano. La caccia e la raccolta di cibo, tipica del Pleistocene glaciale, muta in prima pastorizia ed accenni di agricoltura. Iniziano i primi agglomerati urbani (villaggi) intorno ai fiumi e una sorta di ordinamento politico in abbozzo. Questi alcuni tra i punti fondamentali del processo lineare. Brennan arriverà a distruggerli uno ad uno.
FALLE NEL PROCESSO:
LE SCOPERTE CONTRADDITTORIE
Vi è una carrellata di scoperte antropologiche contraddittorie del processo lineare che la scienza ortodossa o ignora o tralascia volutamente.
Nel 1969, tra Woolongong e Gerringong (Australia) furono scoperte impronte umane fossili di 1.000.000 di anni.
1997, sito archeologico di Jinmium, Territori Settentrionali dell'Australia: manufatti compresi tra il 176.000 e il 116.000 a. P. (avanti Pleistocene, d'ora in avanti a. P. per comodità n.d.a.).
Nel 1928, a Ipswich, in Inghilterra, avviene il ritrovamento di uno scheletro umano intero datato 330.000 anni a.P.; nel 1973, Trimil, nell’Isola di Giava, femori umani risalenti a 830.000 anni a. P.; 1989, Gehe, in Cina, resti umani di 600.000 anni a.P., completamente ignorati dalla scienza ortodossa e liquidati come un falso di cattivo gusto.
Nel IX millennio a.C. fa la sua comparsa improvvisa il famoso "complesso munito di punta" ovvero una nuova modalità di freccia dapprima sconosciuta; grandi quantità vengono ritrovate in tutta l'Europa nord occidentale e nel Vicino Oriente. Le inumazioni rinvenute iniziano a presentare cause di morte legate al "complesso"; circa 90 tombe riportate alla luce mostrano cadaveri con frecce conficcate nel torace e nella schiena; un fenomeno che, precedentemente alla data del 9.000 a.C., si può giudicare inesistente.
L'umanità scopre i piaceri della guerra sistematica in un periodo coincidente con il racconto platonico della guerra tra Atlantide e Atene. Ma la descrizione atlantidea fatta da Platone è ancora lontana dalla realtà umana, storica di quei periodi; il filosofo ateniese racconta di una civiltà estremamente evoluta ed organizzata, troppo stridente con la concezione dell'Era Glaciale e della preistoria greca così come noi le conosciamo. Occorre iniziare a smantellare il paradigma della glaciazione se vogliamo aprire nuovi orizzonti cognitivi.
CONTROVERSIE CRONOLOGICHE:
CIVILTÀ FUORI DAL PROPRIO TEMPO
La civiltà Azteca e la propria capitale, Tenochtitlan, vengono descritte come una gemma nell'antichità; a detta di Brennan, che cita uno scrittore come Tompkins, Tenochtitlan poteva essere paragonata ad "una Venezia esotica, con strade lastricate e oltre 500 palazzi e piramidi orlati con merlature e serpenti". La popolazione contava più di 300.000 abitanti e vi erano numerosi canali navigabili, preposti alla raccolta di acque limpide finalizzate all'irrigazione. La progettazione prevedeva una city e una porzione per la media e bassa borghesia mercantile e commerciale. Il mercato richiamava una fiorente attività testimoniata da un afflusso di 60.000 persone medie giornaliere. Nel 1519, con l'arrivo dei Conquistadores, l'impero azteco arresta per sempre la sua espansione.
Le origini degli aztechi sono oscure. L'ortodossia parla di una migrazione dal Messico settentrionale intorno al XIV secolo, ma gli Aztechi stessi raccontano una storia diversa: essi provenivano da Oriente, da una terra misteriosa chiamata Aztlan. Platone, nel Crizia, descrive l'espansione coloniale di Atlantide su di un "continente aldilà dell'Atlantico"; come Platone conoscesse la presenza di terre oltre l'Oceano è ancora da spiegare. Nel 1920, accompagnato e foraggiato da una spedizione americana, Byron S. Cummins scopre una piramide alle porte di Tenochtitlan antecedente agli stessi Aztechi, la piramide di Cuicuilco; essa era coperta da numerosi strati eruttivi provenienti dal vicino vulcano Xitli. La datazione effettuata sugli strati attornianti la piramide la fecero considerare come un monumento antecedente ad uno degli strati più antichi, ovvero al 8.500 a.C.
Ma non è l'unica in sud America ad avere caratteristiche misteriose.
Tiahuanaco è una città a tutti gli effetti porto, dotata di banchine e moli, bacini di contenimento e quant'altro: solo che è posizionata a 3.900 metri di altezza. Accanto a questa anomalia, la cronologia ancora una volta è contraddittoria.
Kalasasaya è un osservatorio astronomico, recinzione megalitica comprendente una grande piramide a gradini di terra ricoperta di andesite (Akapana) facente parte del complesso achitettonico di Tiahuanaco, unanimemente riconosciuto come tale; datazioni della città spostano indietro nel tempo fino al 150 a.C. le sue origini.
Muller e Posnansky, astronomo l'uno, archeologo l'altro, sono convinti sostenitori di una cronologia fortemente anteriore a quella ipotizzata. Analisi astronomiche del sito di Kalasasaya datano la sua realizzazione tra il 15.000 e il 9.600 a.C. Se il paradigma della fine dell'Era Glaciale è vero, allora Tiahuanaco, al tempo della sua costruzione, era al livello del mare e quindi un perfetto porto funzionante. Una sofisticata città marittima contemporanea alla perduta Atlantide del racconto platonico.
Vi sono esempi di scoperte relative a monumenti preesistenti alle grandi civiltà del passato che oserei definire iconoclaste nei confronti dei dogmi storici convenzionali: Abydo e l'Osireion in Egitto ne sono un esempio. John Antony West ha dimostrato che il basamento su cui fu eretto l'Osireion in realtà è limo del Nilo calcificato e condensato. Simili inondazioni possono essere avvenute, in quella zona, esclusivamente in periodi antecedenti al 9.000 a.C. e più precisamente intorno al 10.000; è presumibile che detto monumento possa avere un'età più antica, 12.000, 11.000 a.C.
Tutta la storia dell'Egitto è peculiare e gli studiosi più ortodossi non potrebbero negare che la civiltà del Nilo è come se fosse nata già estremamente sviluppata. È Platone a riportare una datazione dello Stato sostenuta dai sacerdoti egizi risalente a 1.000 anni prima della fondazione di Atene, ovvero intorno al 9.000 a.C.
Ma alcuni testi scoperti in Egitto riportano un lignaggio ancora più antico.
Il Papiro di Torino (1.400 a.C.) riporta una suddivisione dell'Egitto in 3 periodi di cui uno facente capo ad una stirpe di faraoni predinastici che regnò per 13.420 anni; il secondo fa riferimento ad una stirpe di Re Horus con ben 23.200 anni di governo ed il terzo parla di un regno di semidei a cui non possiamo risalire poiché il papiro, in quel punto, risulta danneggiato. Maneto, sacerdote vissuto intorno al 300 a.C., combina le date del regno dei semidei con le date dei regnanti Re Horus; la fondazione risulta quindi posta tra il 9.000 ed il 37.000 a.C.
Non si spiega la contraddizione con l'Era Glaciale; a meno di non considerare il periodo come un falso.
SMANTELLARE IL PARADIGMA DELL'ERA GLACIALE
Il quadro offerto dalla scienza ufficiale sull'Era Glaciale è chiaro; iniziata circa 2,5 milioni di anni or sono, terminò intorno all'8.000 a.C.
Caratterizzata da climi rigidissimi, gran parte della superficie terrestre, nell'emisfero settentrionale e in quello meridionale, era ricoperta da uno spesso strato di permafrost che manteneva temperature medie intorno ai -6°C; la temperatura atmosferica era al di sotto delle medie odierne di 20°C ca.; gli oceani abbassarono i loro livelli di almeno 90 metri.
La popolazione allora esistente non conosceva il fuoco, l'intera esistenza era basata su una continua ricerca della sopravvivenza. L'uomo moriva di fame se non trovava cibo, peraltro scarseggiante date le condizioni climatiche. Gli esseri umani vivevano nelle caverne poiché era impensabile costruire abitazioni in legno. La caratteristica dei ghiacci avanzanti è quella di distruggere le foreste durante la loro marcia irresistibile.
Brennan sottolinea il fatto che evidentemente non fu così.
Indagini archeologiche dimostrano che i nostri antenati vivevano sotto tettoie di roccia o capanne o tende; dimoravano all'ingresso delle grotte ma non si sono mai addentrati in profondità. Due i motivi: o per paura di animali feroci, ma erano abbastanza abituati a combattere da preda o da predatori e del resto la caccia sembrava essere la loro attività primaria e quindi erano pronti a fronteggiare un animale; o per superstizione.
È vero che non abitavano le caverne ma sappiamo che furono visitate addentrandosi di molto all'interno. Quale il motivo? Semplice: per decorarle.
Esistono decorazioni rupestri in tutto il mondo. Non solo: tali decorazioni sono testimoni di una notevole grazia artistica troppo lontana dall'immagine troglodita tracciata dall'ortodossia; vi sono prove dell'uso di pigmenti addirittura risalenti al 125.000.
Come è possibile che popolazioni votate alla sopravvivenza in un clima rigido, governate dalla necessità di nutrizione continua in un ambiente ostile avessero il tempo per l'arte e qualsiasi altra attività di svago?
Anche qui esiste un problema di fondo: scheletri ritrovati dimostrano l'assenza di denutrizione, lesioni e malattie; i popoli erano forti, facevano uso di vestiario e di un vestiario molto minimalista; raffigurazioni rupestri rappresentano uomini e donne nudi, intenti in attività di caccia, guerra, danza e sesso; l'arte figurativa, rappresentativa del Pleistocene non lascia spazio a interpretazioni late: gli uomini raffiguravano ciò che vedevano e ciò che vedevano erano altri esseri umani vestiti con gonnellini, perizomi e quant'altro o semplicemente nudi.
In una grotta a Fontanet in Francia sono state ritrovate impronte fossili di un fanciullo e di altri adulti; tutte avevano una caratteristica, testimoniavano l'essere scalzi.
Come si può in piena Era Glaciale andare in giro nudi, scalzi, ben nutriti e con uno spiccato senso artistico o in attività belliche e ludiche... Ma non è l'unico problema a farsi strada nel consenso e a provocare fratture; quando agli inizi del XIX secolo la geologia assurse a scienza ufficiale, si trovò subito a dover risolvere un'annosa questione: la terra aveva subito delle modifiche anche violente e profonde in passato e molte rocce osservate presentavano striature direzionate nord-ovest/sud-est, si trattava di ferite comuni sia nell'emisfero settentrionale che in quello meridionale; cosa le provocò?
E che cosa depositò nei posti più impensati massi dalla composizione geochimica del tutto diversa rispetto al contesto in cui furono portati? A milioni, peraltro...
Per non parlare dei depositi di ghiaia trovati in tutto il mondo e stratificati nelle grotte più profonde.
Dopo una prima tornata di pensiero caratterizzata dal catastrofismo del Diluvio Universale, John Playfair (1802) concluse che solamente i ghiacci avrebbero avuto ragione dei massi erratici dei sedimenti ghiaiosi e delle striature orientate sulle rocce di tutto il globo.
In un primo momento fu accantonata come idea, ma di fatto era appena nata la teoria dell'Era Glaciale. Le successive trasformazioni della teoria videro vette notevoli grazie all'apporto di scienziati umanisti come Agassiz; giungiamo fino ai nostri giorni con la formulazione delle otto ipotesi di conformazione di un'era glaciale ad opera di D.S. Allan e J.B. Delair:
* influenza astronomica
* cambiamenti atmosferici
* cambiamenti assiali/orbitali
* cambiamenti geofisici
* cambiamenti glaciologici
* cambiamenti acquatico/terrestri
* cambiamenti meteorologici
* cambiamenti nei comportamenti solari
Secondo Brennan, le teorie fin qui esposte partono da un presupposto errato fondamentale: perché si verifichi un'era glaciale vi è bisogno di freddo ma in realtà non è così; al paradosso le battute iniziali di una glaciazione sono causate da un repentino innalzamento della temperatura e non da un abbassamento.
Perché vi sia ghiaccio ed in quantità abbondante, è necessario che vi sia acqua; e l'acqua è data da pioggia e vapore, entrambi prodotti in quantità industriale dall'evaporazione di laghi, mari ed oceani. Se nel Pleistocene si fosse verificato davvero un incremento notevole di ghiaccio, allora gli oceani in alcuni punti si sarebbero abbassati anche di 3 metri; vi è il fatto che questo fenomeno sia antecedente alla formazione del ghiaccio e non posteriore.
Quindi sarebbe un repentino e violento innalzamento della temperatura ed un abbassamento della stessa intensità che avrebbe prodotto le lastre di ghiaccio. Ma c'è di più.
Non vi sarebbero infatti, secondo Brennan, tracce di glaciazione in alcune zone della Terra in cui, al contrario, esistono quantità considerevoli di massi erratici: deserto del Sahara, pianure della Mongolia, Uruguay, Labrador.
Inoltre esiste un problema fisico che va ben oltre le speculazioni o le illazioni che si possono fare pour parler: la fisica del ghiaccio sottende ad un comportamento fisico dell'elemento in pieno rispetto delle leggi di gravità e della caduta dei gravi; in questo senso ipotizzare il flusso di ghiaccio su una montagna o su di una collina sarebbe come affermare che l'acqua possa risalire la propria fonte. In pratica, secondo i glaciazionisti, il movimento del ghiaccio, nell'Era in discussione, contraddirebbe le leggi della fisica.
IPOTESI DIVERSE: IL CATACLISMA GLOBALE
A questo punto inizia un'analisi degli eventi completamente diversa e particolarmente terribile. Partendo dal presupposto che una delle manifestazioni più chiare del passaggio di un ghiacciaio, i massi erratici, non trova fondamento in questa ipotesi, bisogna allora presupporre una causa scatenante repentina e violenta.
Molti massi erratici, oltretutto, pur essendo stati trascinati presumibilmente per parecchie migliaia di km nei millenni, presentano ancora cuspidi appuntite e non levigate nella loro morfologia. Un presupposto fondamentale per chiarire la dinamica di un trascinamento continuo è il suo tasso di levigatura, praticamente inesistente nei massi erratici osservati.
In contemporanea, mentre una forza spostava i massi sulla superficie terrestre, qualcos'altro ergeva montagne!
Brennan si dilunga in una descrizione minuziosa delle più importanti catene montuose al mondo e nella dinamica della tettonica a zolla, unita a concetti base della geologia e dell'orografìa di queste catene. Il focus viene posto sulla catena dell'Himalaya, gruppo montuoso relativamente giovane e datato con "un'insolita accuratezza" poiché i processi geologici della sua elevazione hanno scatenato una crescita simultanea media di 1.500-1.800 metri nella valle del Kashmir. Il Kashmir presenta fossili peistocenici e l'antica roccia himalayana si è piegata su un letto ghiaioso pleistocenico. Così come il Pir Panjal, blocco occidentale aderente al Punjab o come il Kailas, blocco sud-occidentale della catena himalayana; così come le nostrane Alpi: tutti elevatisi contemporaneamente come in una convulsione planetaria nel Pleistocene.
In Cina la grande convulsione fece sparire il Grande Han Hai, mare interno occupante l'odierno bacino del Gobi, avente un'estensione pari a 1.100 km. In contemporanea al sorgere del Thian Shai, catena montuosa lunga ca. 2.500 km, il fondo del Han Hai si sollevò di 600 metri almeno facendo defluire una quantità di acqua fuori dal normale. Anche l'Altopiano del Tibet si sollevò di almeno 3.000 metri, raggiungendo la quota odierna di 4.500. Sulla costa orientale della Cina il fondale marino sprofondò fino al Giappone; a Malaya il livello del mare raggiunse depressioni di 90 metri, in Africa la crosta terrestre si ruppe dando inizio alla gran Rift Valley, in Nuova Zelanda vi fu una sollevazione di almeno 17.000 metri circa nell'Isola del Sud, oltre a vaste attività vulcaniche nelle Canarie e nelle Azzorre.
Pleistocene, presenza umana forte sulla Terra; dice Brennan: "l'umanità ha visto l'elevazione convulsa dei monti himalayani. L'umanità ha osservato il fluire cataclismatico di un antico mare!" L'umanità porta dentro la propria essenza, nel proprio cuore, un trauma inimmaginabile.
Eppure, terrificanti eventi in dettaglio devono ancora essere descritti; Brennan rivela il malizioso e voluto silenzio della scienza ufficiale portandoci all'interno di scoperte mai smentite ma raccontate in maniera diversa, molto più accomodante; in realtà le cose sembrerebbero stare in maniera del tutto diversa.
SULLE TRACCE DEL KILLER
Vi sono forti prove a testimonianza di un evento catastrofico di livello planetario quasi inconfutabili; riguardano l'estinzione di specie che popolavano la Terra in era pleistocenica e che scomparvero repentinamente. Gli esperti arrivano a sostenere che nei 2,5 milioni di anni del Pleistocene ben il 75% delle specie si sarebbe estinto in 800 anni circa, intorno al 9.000 a.C.; queste specie non si sono addormentate nel tempo, ma hanno subito una morte veloce e violentissima.
Di seguito riportiamo la casistica elencata da Brennan poiché di interesse elevatissimo:
* Monte Kinley, Alaska: centinaia di resti di mammuth, mastodonti, bisonti insieme ad alberi sradicati; ossa rotte e smembrate.
* Fiume Koyukuk, Fiume Kuskokwim, Yukon, Costa Artica, Mare di Bering: stessi sedimenti e stessi resti; cataclisma non locale, ma di portata planetaria.
* Ritrovamenti di punte da freccia di tipo Yuma; ossa umane miste a quelle animali. Cacciatori e prede, stesso destino.
* New Siberian Islands, 1805: il terreno letteralmente ricoperto di resti di elefanti e rinoceronti.
* Isola di Liakhove, Siberia settentrionale: lo scopritore da cui l'isola prende il nome si chiede se non sia costituita da ossa di mammuth cementate a causa della quantità enorme ivi scoperta.
* Grotta di San Ciro, a Palermo: 20 tonnellate di ossa di ippopotamo stipate a migliaia in spaccature e spelonche della roccia. Oltre al mistero delle ossa occorre riflettere sulle tipologie di animali ritrovati. Gli ippopotami, ad esempio, non fanno parte dell'habitat sud-mediterraneo. Solitamente le ossa appartengono a specie di animali tra le più disparate, a conferma del fatto che l'evento scatenante questa catastrofe ha coinvolto larghissime porzioni di terraferma anche molto distanti tra loro.
* Malta, XIX secolo: lucertole, elefanti, tartarughe, uccelli giganti addirittura squali. Scheletri fusi con la roccia circostante; ossa frantumate e sparse.
* Creta, Grotte di Limestone: cervi, elefanti, ippopotami, roditori.
* Corsica, Sardegna, Baleari: scenari simili ai precedenti.
* Gibilterra: iene, linci, rinoceronti, lupi, specie varie di uccelli, lepri, tigri, corvi, piccioni, cervi stambecchi, buoi, cinghiali.
* Inghilterra, Grotte nello Yorkshire: stesso panorama di Gibilterra.
* Grotta di Kent, Torquay: prove di un'enorme energia che scagliò e stipò gli animali all'interno della spelonca.
* Cina, pressi di Pechino, villaggio di Choukoutien: insieme agli animali vennero ritrovati i resti di sette uomini appartenenti a tre razze distinte: europea, melanesiana, eschimese.
* Monaco, Grotta di Vallonet: assieme a scimmie, elefanti, rinoceronti, leoni e iene furono ritrovati resti di balene.
Il fenomeno lo ritroviamo persino in Australia, negli Stati Uniti e in Brasile. Si è trattato di un evento parossistico, violentissimo; avrebbe potuto causare anche l'affondamento di un continente?
La descrizione di Platone, abbiamo già detto, stride con la teoria pleistocenica tradizionale; eppure si parla del continente atlantideo poggiatosi sul fondo del mare.
Per quanto assurda ed inconcepibile, Brennan supporta la visione di un'ipotesi rivoluzionaria: nel 1949 il National Geographic descrisse una spedizione sottomarina che compì ecoscandagli nella zona della dorsale medio-atlantica. Furono mostrati i sedimenti profondi centinaia di metri. Al contrario quando gli ecoscandagli furono portati sui bacini oceanici ai lati della dorsale, ne venne fuori una scoperta sconcertante; sicuri dello spessore ancora più profondo di questi sedimenti, causa l'ultra millenaria situazione indisturbata del fondo atlantico, gli scienziati si trovarono di fronte a profondità non più superiori di 30 metri; in alcune zone non vi erano addirittura sedimenti. L'unica spiegazione plausibile sta nel fatto che, in epoche molto recenti, il fondale dell'Oceano Atlantico era in superficie!
Non vi sono possibilità che fossero le eruzioni vulcaniche o i terremoti succedutisi nei millenni a provocare un fenomeno simile: troppo blandi a questo fine anche se potenti e abbastanza distruttivi. La causa dovrebbe risiedere in un evento più violento del previsto.
L'ASSE TERRESTRE E LO SLITTAMENTO DEL POLO CELESTE
Cambiamenti climatici nella storia del pianeta ne sono avvenuti e non pochi; non solo, collegato a questo fatto vi è sicuramente l'orientamento dell'asse terrestre alla base dei cambi stagionali.
Se la Terra avesse avuto un asse assolutamente perpendicolare a se stessa e non inclinato di 23,5°, il clima sarebbe stato mite e costante su tutto il globo persino alle latitudini polari. Se leghiamo una palla ad un cavo, assicurando quest'ultimo ad un punto fisso, osserviamo che imprimendo forza alla palla questa inizia a girare intorno al punto fisso, descrivendo un'orbita circolare e non ellittica. Nel caso del nostro sistema solare, al contrario, le orbite sono tutte ellittiche quindi irregolari, ma in un universo meccanico le forze di gravitazione tenderebbero alla circolarità. Allora l'idea di una Terra "dritta" non è così irragionevole.
Brennan inizia a descrivere un ipotetico pianeta perpendicolare al proprio asse.
L'idea è quella di una terra edenica, dove la temperatura è costante a tutte le latitudini, i mari sono più alti e il tasso d'umidità diffuso: la conseguenza prima è la presenza di una lussureggiante vegetazione e grandi quantità, nonché varietà, di animali selvaggi. Anche le civiltà preistoriche, con un clima simile, avrebbero avuto enormi possibilità di maggior sopravvivenza e soprattutto sviluppo date le condizioni atmosferiche miti. Aree desertiche pressoché inesistenti e serbatoi di ghiaccio limitati alle due calotte, alle estremità artica ed antartica, potevano permettere l'abitabilità di terre estreme artiche e, specialmente, di terre libere dal permafrost antartico; alcune isole come la Groenlandia sarebbero risultate completamente abitabili.
I miti della Genesi rispecchiano una condizione idilliaca simile alla pagana Età dell'Oro; anche in Occidente i miti di Esiodo narrano di una Età dove tutti i popoli erano in pace grazie alla presenza di cibo e acqua in abbondanza; e poi Dilmun per i Sumeri o Aalu per gli Egizi; in Oriente regna l'indiano Krita Yuga; in Platone, l'Atlantide...
E se questi miti, come ipotizza Brennan, fossero stati caratterizzati da ricordi distorti di una ancestrale condizione climatica estremamente diversa dall'attuale? O addirittura ricordi della perduta Atlantide?
E qui le immancabili prove:
* Arcipelago di Spitsbergen, Oceano Artico, 78°56' di latitudine nord: barriere coralline sommerse, enormi giacimenti di carbone (testimonianza di foreste lussureggianti). Heer, botanico olandese, ha scoperto 136 varietà di piante fossili in Spitsbergen tra cui olmi, pioppi, piante tropicali e palme.
* Alaska, Stati Uniti, circolo polare Artico: barriere coralline, carbone e legno fossile.
* Isola di Disko, Groenlandia: fossili di ghiande, pigne, noci, faggi, magnolie, querce, felci tropicali.
* Islanda: resti di abete rosso, sequoie, aceri e querce, normalmente associate con la California e i paesi mediterranei.
* Coste artiche della Siberia, Stretto di Bering: sequoie, pioppi, ontani, sicomori.
Qui vi è solo una spiegazione: un tempo le terre circostanti il circolo polare artico e quello antartico erano più calde; quando e perché?
La prima risposta è quella del Miocene, epoca geologica compresa tra 25 milioni e 5 milioni di anni fa; il problema però sussiste nei processi evolutivi: specie vegetali, o animali, adattatesi nel tempo alle trasformazioni climatiche presentano forti cambiamenti morfologici; eppure le specie fossili attribuite al Miocene nei circoli polari non presentano alcun cambiamento rispetto alle odierne. Milioni di anni evolutivi non avrebbero apportato trasformazione alcuna tra le specie.
Diverse piante fossili del circolo polare Artico sono state ritrovate con i frutti attaccati; ci vuole molta luce nel processo di fruttificazione nonché molto calore. Gli inverni polari durano più di sei mesi e per la metà dell'anno le temperature arrivano anche a -40°; per non contare la notte polare di 180 giorni. Solo uno slittamento dell'asse terrestre potrebbe giustificare una simile condizione. Infatti, in presenza di un asse "dritto", non vi sarebbero gli inverni anomali subiti dai poli.
ANATOMIA DEL KILLER SPAZIALE
Per spostare l'asse terrestre, dunque, non bastano situazioni che, per quanto drammatiche e fortemente energetiche, si sviluppino endogeneamente: è necessario che una enorme forza scateni un'energia tale da "prendere" letteralmente un pianeta e rovesciarlo su un'inclinazione diversa; cosa potrebbe aver scatenato una cosa simile?
Se un corpo estraneo fosse penetrato nel nostro sistema solare, con una capacità devastante di questa portata, dovrebbe aver lasciato delle prove circostanziali al di là delle osservazioni sui comportamenti anomali del nostro pianeta: Brennan cerca le tracce del passaggio di un proiettile nella nostra casa cosmica; e lo trova.
I Caldei, i Sumeri e i Babilonesi erano popoli dalle straordinarie conoscenze astronomiche: dall'osservazione relativa alla variabilità dello zodiaco nei radianti cosmici che apparentemente ruotano intorno alla Terra, erano risaliti alla precessione degli equinozi, conoscevano la centralità del sole, le eclissi lunari dovute alla proiezione dell'ombra terrestre e la riflessione luminosa della Luna.
In una tavola sumerica conservata al museo paleontologico di Berlino, è contenuto uno zodiaco con un punto equinoziale nella costellazione del Leone (oggi in Ariete); se ne desume che detto zodiaco doveva essere stato osservato in un periodo vicino all'11.000 a.C., periodo di massima espansione e fioritura dell'Atlantide di Platone. I Babilonesi erano a conoscenza dei molteplici corpi ruotanti intorno al sole: nove per l'esattezza; senza telescopio ne possono essere osservati solamente 4 fino a Giove (Mercurio, Venere, Marte e Giove stesso). All'ex museo di Stato nella Berlino Est un cilindro accadico mostra la presenza di tutti e nove i pianeti.
Più un decimo pianeta nella porzione interna del Sistema Solare...
La Legge di Bode, contrastata e poi affermata perentoriamente e successivamente arricchita da Ovenden nel 1972, portò alla scoperta della fascia asteroidale. Tale legge recita pressappoco così: ogni pianeta orbita intorno al sole al doppio della distanza del precedente; l'osservazione degli asteroidi dava sì ragione alla legge ma solamente affermando che quei pianetini altro non erano se non la risultante di un'esplosione planetaria. Brennan sottolinea come l'ortodossia giustifichi la presenza degli asteroidi a partire dalla formazione stessa del sistema solare avvenuta 4,7 miliardi di anni or sono circa. Studi più recenti hanno confermato il fatto che le forze gravitazionali in campo non permetterebbero una vita superiore ai 30 milioni di anni circa agli asteroidi senza "cadere" su altri corpi. La conclusione è che gli asteroidi non si sono formati nell'economia del Sistema, bensì sono il frutto di un qualcosa di più allucinante.
Brennan porta "in tribunale" quelle che chiama "prove circostanziate" di un'ancestrale devastazione del Sistema Solare; devastazione che avrebbe comportato tutta una serie di anomalie e disfunzioni tra cui quelle drammatiche osservate sul nostro pianeta grazie all'apporto dell'archeologia e alla scoperta di efferate stragi portate in tempi remoti tra gli esseri viventi. Una di queste prove è la presenza di anelli di roccia ruotanti intorno ai grandi pianeti. Scientificamente è un processo noto con il nome di "cattura dello schermo gravitazionale": un'esplosione planetaria lancerebbe detriti in tutto il sistema con conseguente cattura da parte dei campi gravitazionali più forti o più vicini al pianeta esploso. Questo indubbiamente esiste: Urano, Giove e Saturno; oppure i due misteriosi satelliti marziani Deimos e Phobos. Osservazioni di orbite parossistiche asteroidali all'interno della stessa Fascia sono la testimonianza di una grandiosa forza centrifuga, dirompente impressa ad ognuno di questi corpi.
L'ESPLOSIONE DI UNA SUPERNOVA CHIAMATA "VELA F"
Vi sono tre cause che potrebbero determinare un'esplosione planetaria: fusione nucleare, bombardamento meteorico e collisione con altri corpi celesti. Le prime due non riescono a sviluppare un'energia tale da innescare un processo di disintegrazione del pianeta; la prima, addirittura, rientra in una casistica rarissima e ancora tutta da dimostrare, mentre la seconda non riuscirebbe nel proprio intento persino tramite un impatto con un corpo simile alla Luna, dove le conseguenze sarebbero apocalittiche ma non cancellerebbero la Terra dalla faccia del Sistema.
La terza ipotesi, al contrario, presuppone una collisione con un oggetto estremamente più grande del pianeta bersaglio e dotato di un'enorme energia: ad esempio un frammento di stella.
Brennan passa in rivista la possibilità di uno scontro materia-antimateria (una delle possibili spiegazioni, ad es., del caso Tunguska); ma anche su questo fronte le possibilità di esplosione planetaria sono ridotte allo zero assoluto.
Vi sono due segmenti di stelle esplosive che potrebbero aver interessato il nostro sistema: le novae e le supernovae: le prime sono esplosioni, potremmo definirle, "locali", ovvero a basso raggio di coinvolgimento; le seconde, molto più spettacolari sotto il profilo pirotecnico, sono anche estremamente più pericolose poiché il potenziale distruttivo è enorme, dovuto anche al grande raggio di coinvolgimento della deflagrazione.
Nella costellazione di Vela, tra il 14.000 e l'11.000 a.C., una supernova denominata "Vela F" pose fine alla sua esistenza scagliando nel cosmo milioni di frammenti enormi e sufficientemente dotati di potenziale ad alta energia ed esplosivo; uno di questi, particolarmente esteso, puntò dritto verso le regioni esterne della Via Lattea mirando il sistema Solare. Brennan sottolinea il carattere ipotetico e speculativo della sua tesi ma confrontando tutti i passaggi precedenti del testo e una serie di osservazioni oggettive nei comportamenti del nostro sistema planetario.
Una di queste riguarda la cosiddetta fascia di Kuiper, scoperta dall'omonimo astronomo americano nel 1951. Si tratta di una fascia asteroidale posta ai confini del Sistema Solare molto simile alla fascia asteroidale intermedia generata forse da un'esplosione planetaria; per analogia è ipotizzabile una stessa origine.
Probabilmente l'intruso di Vela, viaggiando a velocità frazionate rispetto a quella fotonica, ha incontrato un corpo celeste in quelle regioni frantumandolo sul colpo; la sua corsa, per nulla rallentata, puntava dritta verso Nettuno. A quelle latitudini è stata osservata una forte presenza di alluminio 26, di fatto una nube, simile a quelle generate da esplosioni di supernovae. La distanza di Vela dal sistema è di 45 anni luce, pertanto i frammenti avrebbero raggiunto le nostre porte dopo pochi secoli, una nullità cronologica rispetto ai tempi astrali.
Il frammento di stella, dall'impressionante forza gravitazionale, avrebbe inclinato Nettuno di 29° sul proprio asse. Voyager 2 rivelò che anche Nettuno è circondato da minuscoli anelli di materiale cosmico: è ipotizzabile che alcuni satelliti orbitanti intorno al pianeta siano stati disintegrati da ulteriori impatti oltre a quello generante la fascia di Kuiper. Il campo gravitazionale del pianeta, comunque un gigante gassoso, avrebbe provocato un effetto fionda sull'intruso scagliandolo verso Urano e le latitudini interne della nostra casa cosmica. Anche Urano è circondato da anelli; si tratta forse dei frammenti dell'intruso che, venendo in rotta di collisione con un pianeta notevolmente inferiore a Nettuno, lo inclinò di 58,6° rispetto al proprio asse, di fatto imprimendogli una rotazione quasi sul fianco: i frammenti sono composti probabilmente da roccia, ghiaccio e un particolare polimero pigmentato di nero. L'intruso intanto puntava Saturno. A questo proposito si cita il "Limite di Roche, dal nome del francese che lo studiò per primo. In pratica, è la misura, distanza di sicurezza in cui un corpo celeste può avvicinarsi ad un altro senza che il più piccolo venga rigettato dalle forze di marea. Se i due corpi sono molto massicci, allora il limite diviene 2,5 volte il raggio del più grande. Gli anelli di Saturno sono al Limite di Roche; è ipotizzabile che l'intruso abbia frantumato una o più lune rientrate nel Limite, creando i bellissimi anelli di questo pianeta. L'intruso avrebbe provocato anche un aumento della sua velocità di rotazione.
Ora, superando Giove senza problemi a causa dell'enorme massa e forza gravitazionale del gigante gassoso, oppure di una sua posizione orbitale distante, il frammento stellare entrò in rotta di collisione con il "pianeta X" tra Giove e Marte, frantumandolo nella famosa fascia di asteroidi; molti frammenti furono catturati dall'intruso e trascinati verso Marte stesso; le conseguenze furono il rallentamento della rotazione del pianeta sull'asse con pressioni tali da provocare fratture nella crosta e la scomparsa dell'acqua.
Qui Brennan entra nelle ipotesi di possibili forme di esistenza intelligente sul pianeta rosso irrimediabilmente estintensi a causa del bombardamento meteorico generato dall'intruso e dall'esplosione del pianeta confinante; ma si tratta di un brevissimo accenno quasi poetico.
L'ipotesi più affascinante è quella che prevede Phobos e Deimos quali lune catturate da Marte e quindi frammenti del pianeta X.
Il proiettile stellare, quindi, si diresse verso le regioni centrali, verso il Pianeta Terra.
Un grande corpo celeste che entra in rotta di collisione o di sfioramento con un altro genera una serie di forze allucinanti che entrano in gioco:
* forze gravitazionali.
* forze elettomagnetiche.
* forze energetiche di scambio calore.
Probabilmente, all'arrivo di Vela F, tutte e tre le forze scatenarono la loro potenza generando:
* disturbi dell'orbita terrestre.
* slittamento dell'asse planetario.
* diminuzione della velocità di rotazione.
* variazioni della precessione degli equinozi.
La forza gravitazionale dell'intruso, a guisa di quella mareale generata dalla Luna, interagì con mantello e litosfera, mandando in panne i flussi di convezione del calore nucleare terrestre verso la superficie, scatenando centinaia di migliaia di eruzioni vulcaniche. La crosta terrestre iniziò a spaccarsi e mutazioni morfologiche repentine generarono immense catene di montagne in zone prima inesistenti. Enormi masse d'acqua, impennate in un'unica ondata apocalittica, defluirono dai mari per salire verso l'intruso che illuminava a giorno i cieli terrestri. Il calore del pianeta cominciò ad alzarsi, per effetto delle eruzioni e della forza elettromagnetica generata dal passaggio di Vela F, piogge di fulmini si scagliarono verso il suolo. Frastuono e fragore ovunque, venti e tornado di inimmaginabile violenza frustarono la superficie del pianeta sradicando milioni di ettari di foreste; vaste distese di litosfera collassarono e deformarono in brevissimi istanti l'intera faccia del pianeta. Fiumi, laghi e mari, oltre all'ondata, fluirono in valli appena create defluendo dagli antichi letti, riempiendo bassopiani e depressioni. Un mare di distruzione e di morte fu seminato sulla Terra e tra gli uomini, terrorizzati dall'ira del nuovo dio apparso d'improvviso nei cieli.
Quando Vela F arrivò al Limite di Roche, non entrò in collisione col pianeta, altrimenti non saremmo qui, oggi, a parlarne. Fu il culmine dell'apocalisse pleistocenica: i frammenti di pianeta che Vela F trascinava con sé esplosero.
Iniziò il più grande e violento bombardamento meteoritico che la Storia mai conobbe; ed enormi frammenti asteroidali caddero su vaste zone della Terra distruggendole totalmente. Tra queste, Atlantide.
Non sapremo mai che cosa realmente accadde, ma le circostanze archeologiche e scientifiche raccontano una storia molto vicina a quest'ipotesi agghiacciante. Vale la pena approfondire e tentare di capire se si trattò di un caso o di una situazione ripetibile ad intervalli cronologici determinati.
Un grande libro, una grande analisi alternativa ai soliti sospetti.